La vendemmia 2023 in Italia mette in moto un esercito del vino che conta 1,5 milioni di persone impegnate direttamente nei campi, nelle cantine e nella distribuzione commerciale, ma anche nelle attività collegate, dall’enoturismo alla cosmetica fino alle bioenergie. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti in occasione della divulgazione delle stime a metà vendemmia di Assoenologi, Ismea e Uiv che confermano sostanzialmente quelle diffuse dalla principale organizzazione agricola il 3 agosto scorso all’inizio della raccolta.
La produzione italiana – sottolinea la Coldiretti – è stimata intorno ai 43,9 milioni di ettolitri in calo del 12% rispetto al 2022, facendo entrare il 2023 fra i peggiori anni della storia del vigneto Italia nell’ultimo secolo insieme al 1948, al 2007 e al 2017. Il risultato è che per la prima volta dopo anni l’Italia – precisa la Coldiretti – potrebbe non essere più il maggiore produttore mondiale di vino superata in quantità dalla Francia che dovrebbe produrre 45 milioni secondo l’ultimo bollettino del Ministero dell’agricoltura francese dell’8 settembre scorso. Una partita ancora aperta dopo che l’arrivo del sole nella prima metà del mese ha rappresentato una vera manna per la vendemmia che – precisa la Coldiretti – prosegue a settembre ed ottobre con la Glera per il Prosecco e con le grandi uve rosse autoctone Sangiovese, Montepulciano, Nebbiolo e si conclude addirittura a novembre con le uve di Aglianico e Nerello su 658mila ettari coltivati a livello nazionale.
La sfida con i cugini francesi è in realtà soprattutto sulla valorizzazione della produzione che in Italia si attende comunque di alta qualità e – sottolinea la Coldiretti – può contare su 635 varietà iscritte al registro viti, il doppio rispetto ai francesi, con le bottiglie Made in Italy destinate per circa il 70% a Docg, Doc e Igt con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 76 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30% per i vini da tavola a dimostrazione del ricco patrimonio di biodiversità con vini locali di altissima qualità grazie ad una tradizione millenaria. Il processo di qualificazione del vino Made in Italy è confermato dal successo dell’export anche in Francia dove però si bevono sempre più bottiglie italiane con un balzo del +18,5% in valore delle esportazioni nazionali di vino Oltralpe nei primi cinque mesi del 2023, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Istat.
Il vino è il prodotto agroalimentare italiano più esportato all’estero con un valore che nel 2022 è stato pari a 7,9 miliardi sui mercati mondiali creando opportunità di lavoro che spaziano dai viticoltori agli addetti nelle cantine fino alla distribuzione commerciale, per allargarsi ai settori connessi, di servizio e nell’indotto che si sono estesi negli ambiti più diversi: dall’industria vetraria a quella dei tappi, dai trasporti alle assicurazioni, da quella degli accessori, come cavatappi e sciabole, dai vivai agli imballaggi, dalla ricerca e formazione alla divulgazione, dall’enoturismo alla cosmetica e al mercato del benessere, dall’editoria alla pubblicità, dai programmi software fino alle bioenergie ottenute dai residui di potatura e dai sottoprodotti della vinificazione (fecce, vinacce e raspi).
Un tesoro del Made in Italy sul cui futuro pesano però le incognite legate alle politiche adottate dall’Unione Europea – ricorda Coldiretti – a partire dalla scelta della Commissione di dare il via libera all’introduzione di etichette allarmistiche sul vino decisa dall’Irlanda. Il giusto impegno dell’Unione per tutelare la salute dei cittadini secondo la Coldiretti non può, infatti, tradursi in decisioni semplicistiche che rischiano di criminalizzare ingiustamente singoli prodotti indipendentemente dalle quantità consumate.
Ma il vino Made in Italy – spiega Coldiretti – deve affrontare anche altri attacchi, dalla decisione della Ue di autorizzare nell’ambito delle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol anche nei vini a denominazione di origine alla pratica dello zuccheraggio, fino al vino senza uva con l’autorizzazione alla produzione e commercializzazioni di vini ottenuti dalla fermentazione di frutti diversi dall’uva come lamponi e ribes molto diffusi nei Paesi dell’Est. Ma a pesare sono anche i rischi legati alle richieste di riconoscimento di denominazioni che evocano le eccellenze Made in Italy – ricorda Coldiretti – come nel caso del Prosek croato, un vino dolce da dessert tradizionalmente proveniente dalla zona meridionale della Dalmazia, contro la cui domanda di registrazione tra le menzioni tradizionale l’Italia ha fatto ricorso, in virtù del fatto che potrebbe danneggiare il Prosecco.
Credit: Coldiretti.it