La buona musica, il valore delle parole, la bellezza delle note e il genio di chi le ha scritte: tanti gli ingredienti per l’ultima di “Fantastiche Visioni”, che ha accolto Neri Marcorè e la sua band per una serata destinata a restare negli annali della storia della rassegna. Sold out annunciato per il quinto appuntamento della manifestazione, ideata da Arteidea Eventi e Servizi – con il contributo economico del Comune di Ariccia, nell’ambito del cartellone di “Ariccia da Amare 2024 – Night and Day” – sotto la direzione artistica di Giacomo Zito.
“Le mie canzoni altrui” è un concerto intenso, pregno di contenuti e di emozioni, trascinante nella sua alternanza di voci e artisti che lo “popolano” e che ritornano, live, in un prodotto artistico che va molto al di là dell’omaggio o della cover. Neri Marcorè dà nuove chiavi al pubblico per rinnovare l’amore tra gli ascoltatori e le canzoni protagoniste. Con lui una band di professionisti di livello eccelso, da Beppe Basile alla batteria e Fabrizio Guarino alla chitarra elettronica, da Alessandro Patti al basso a Domenico Mariorenzi al piano, alla chitarra e al bouzuki. Un’alchimia perfetta, fatta di sguardi, attimi, intese e lavoro – tanto e perfetto – per ottenere un risultato strepitoso poi suggellato dalla standing ovation finale.
Che Neri Marcorè fosse un mattatore del palcoscenico non è una novità, ma vederlo dal vivo e apprezzarne le doti narrative, la voce sobria ed elegante, la spontaneità con cui canta e suona fa un effetto quasi onirico. All’ombra del Parco Chigi tre ore di concerto senza soluzione di continuità, in cui ha colpito in primis la camaleontica dote di mutazione del “mood”: passare in cinque minuti da “Ho messo via” di Ligabue a “Fiume Sand Creek” di De André con una linearità mostruosa è stato il biglietto da visita di una serata indimenticabile.
Ma il repertorio è stato vastissimo, e coinvolgente. Un viaggio nel tempo, un’intesa ferrea fra artisti e pubblico, e un’intelligenza scenica e musicale che ha portato “Le mie canzoni altrui” a essere, appunto, un treno che fa la spola tra due direzioni: l’altrui, come il luogo del Creato, dove quest’arte e nata; il “mie”, che sottintende la personalizzazione onesta e accorata in cui è il talento di Marcorè e dei musicisti a spaziare di canzone in canzone.
A riprova di quanto affermato, Neri Marcorè accantona le sue straordinarie doti imitative per lasciar fluire il proprio talento canoro e quello che viene fuori è un concerto con pezzi che sono una versione molto personale – seppur rispettosa dell’originale – e quindi diventano dei nuovi live delle stesse. La passione per il canto di Marcorè è in realtà antica, come da lui stesso raccontato per “spiegare” al pubblico il perché di questo progetto che lo vede in una veste solo apparentemente inedita: all’età di 12 anni l’artista partecipava a contest canori e si esibì in diretta radio cantando i Bee Gees. Da lì poi una straordinaria carriera fatta di televisione, cinema, teatro e chi più ne ha più ne metta ma senza dimenticare la passione degli esordi: così è iniziata questa esperienza delle “canzoni altrui”, tocco magico di uno straordinario interprete dello spettacolo e della cultura italiana.
L’intrattenimento puro, in cui è emersa la verve comica e umoristica di Marcorè, ha trovato spazio nelle parti finali dello spettacolo quando l’attore, totalmente a soggetto, ha eseguito degli esperimenti comico-musicali: Guccini canta i luoghi comuni, Branduardi e Concato si cimentano in “Pecunia”, la versione colta di “Soldi” di Mahmood, o ancora “C’era un ragazzo che come me” viene cantata sulle note de “Il ragazzo della via Gluck” e viceversa, in una straniante sostituzione di parole e note dove la confusione viene assorbita dal sorriso. Non sono mancati gli accenni di satira, sparsi qua e là durante la serata, prima del gran finale con una canzone dalla bellezza senza tempo come “Il pescatore”. Ma hanno stupito, e non poco, tanti grandi successi del cantautorato italiano e internazionale che ancora risuonano nelle lande di Parco Chigi: “La guerra di Piero”, “Monnalisa”, “Te lo voglio dì”, “Se ti tagliassero a pezzetti”, “Creusa de ma” e così via fino ai Beatles o a Simon & Garfunkel.
Applausi, solo applausi, per una serata che ha concluso “Fantastiche Visioni” nella maniera migliore tanto che il direttore Giacomo Zito si è fatto portavoce del pubblico quando ha salutato la platea sottolineando che è difficile pensare a visioni più fantastiche di così.
Proprio Zito, a margine della rassegna, ha tracciato un bilancio della manifestazione che quest’anno ha raggiunto i numeri più alti della sua storia, sia in termini di presenze che di gradimento: “il pubblico è stato davvero numeroso, e per arrivare a questo risultato siamo partiti da lontano e abbiamo seminato, anche magari con poca esperienza, cercando di imparare, di migliorarci, di apprendere. Essenziale, per costruire una macchina del genere, è stato anche curare gli aspetti tecnici per consentire ad artisti di grande livello come quelli che si sono esibiti di suonare determinati strumenti. Il bilancio è positivo perché la qualità è salita sia in senso artistico che tecnico, e i numeri hanno riconosciuto questo programma come il più attrattivo degli ultimi anni”. Tratto distintivo e quest’anno forse più marcato di sempre è quello relativo alla varietà della proposta teatrale. Ad esempio in questa edizione si è passati dalle arti circensi dei The Black Blues Brothers ai grandi classici della letteratura con Mercadini e il “Furioso”, passando per musica e satira con Rossi, cantautorato live con Marcorè, Frank Sinatra con Guidi. “La varietà programmatica”, ha proseguito Zito, “è nel DNA di ‘Fantastiche Visioni’ ma l’abbiamo messa a fuoco con chiarezza negli ultimi anni. Abbiamo lavorato sia sugli artisti di attrazione che sulle tematiche, per fare sì che nel cambiamento di genere artistico l’utenza fosse sempre coinvolta e infatti lo stesso spettatore prenota per Marcorè ma anche per i The Black Blues Brothers, che sono spettacoli estremamente diversi”.
L’appuntamento con “Fantastiche Visioni” è al 2025. Adesso non resta che lasciar sedimentare la bellezza accumulata in queste cinque date, e ricordarsene, farne tesoro in ogni momento, anche perché è quello che il teatro e l’arte fanno: fornire elementi per affrontare la vita.