Articolo a cura della Prof.ssa Irene Viola
Due sono i termini che ricorrono quando si riflette sul ruolo della scuola, e questi due termini sono sicuramente “educare” e “istruire”.
La parola educare porta con sé un significato importante: dal latino educare – intens. di educĕre «trarre fuori, allevare» – viene definito dalla Treccani come il “promuovere con l’insegnamento e con l’esempio lo sviluppo delle facoltà intellettuali, estetiche, e delle qualità morali di una persona, specialmente di giovane età”.
La parola istruire – dal latino instruĕre «preparare, costruire, insegnare» – è il “Far apprendere, con un insegnamento teorico o pratico, e di solito organico, una serie di nozioni relative sia a una materia (per lo più elementare) o a un’arte, sia all’esercizio di una particolare attività. Con significato più ampio, impartire gli elementi del sapere e in genere tutte quelle cognizioni, intellettuali, sociali, religiose e morali, che sono la base dell’educazione”.
Queste due definizioni si intrecciano tra di loro perché va da se che non ci possa essere istruzione senza educazione e educazione senza istruzione.
L’ambito del sapere è vasto, ma la scuola ha il compito di riuscire a far tirare fuori all’alunno le proprie potenzialità, che sono insite dentro di lui.
La scuola è fondamentale nel percorso di crescita di qualsiasi individuo, non solo per ciò che riguarda le conoscenze apprese ma sicuramente nel suo dover aprire le porte ai cittadini del domani che devono comprendere e imparare cosa significa vivere in una società, quali sono le regole da rispettare, quali sono i propri diritti e i propri doveri.
Proprio per questo si è sentita l’esigenza, nel tempo, di estendere l’obbligatorietà scolastica a tutti e di allungare il tempo di permanenza nelle nostre istituzioni scolastiche.
Non certamente perché tutti debbano diventare medici, ingegneri o luminari ma perché tutti sono cittadini.
La scuola quindi si pone come il pilastro fondante nel processo di formazione dell’essere umano.
E quindi “educazione” e “istruzione” sembrano essere i pilastri fondanti del paradigma pedagogico europeo.
Mi piace però pensare che questi due pilastri si possano fondere per istituire un nuovo paradigma che può tradursi nel termine “formazione”.
La scuola non deve essere più vista come il luogo dove si trasferiscono le conoscenze ma deve diventare il luogo in cui le conoscenze diventano significative sul piano formativo in ordine alla propria maturazione personale.
Il successo di una scuola nel suo processo di educazione, istruzione e formazione si regge soprattutto sulle competenze dei docenti.
Leggiamo sul CCNL 216/2018 ARTICOLO 27: “Il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, informatiche, linguistiche, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo – relazionali, di orientamento, di ricerca, documentazione e valutazione, tra loro collegate ed interagenti che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e la sistematizzazione della pratica didattica”. Ciò è una descrizione complessa ma non di certo esaustiva della professionalità docente.
L’insegnante contemporaneo deve saper scoprire e riscoprirsi ogni giorno, deve formarsi e informarsi costantemente, deve essere un comunicatore efficace e un mediatore emozionale attento.
Consiglio, a riguardo, la lettura del libro “Dieci nuove competenze per insegnare” di Philippe Perrenoud.
“Il mestiere d’insegnante si trasforma: lavoro di gruppo e per progetti, autonomia e responsabilità aumentate, pedagogie differenziate, centralità ai dispositivi ed alle situazioni d’apprendimento, sensibilità nei confronti del rapporto con il sapere e con la legge. Le ambizioni dei sistemi educativi aumentano, mentre gli utenti scolastici diventano più eterogenei. Se sono aperti al cambiamento, se raccolgono la sfida, gli attori del sistema educativo hanno bisogno di sviluppare nuove competenze.
Qui si parla degli insegnanti della scuola primaria e secondaria, considerando che oggi gli uni e gli altri fanno fronte ampiamente agli stessi problemi ed agli stessi alunni e non esercitano più mestieri tanto diversi. Questo libro privilegia le pratiche didattiche e pedagogiche innovatrici, dunque le competenze emergenti, quelle che dovrebbero orientare le formazioni iniziali e continue, quelle che contribuiscono alla lotta contro l’insuccesso scolastico e sviluppano il senso di cittadinanza, quelle che fanno appello alla ricerca e mettono l’accento sulla pratica riflessiva.
Sono state considerate dieci grandi famiglie di competenze: 1) organizzare ed animare situazioni d’apprendimento; 2) gestire la progressione degli apprendimenti; 3) ideare e fare evolvere dispositivi di differenziazione; 4) coinvolgere gli alunni nei loro apprendimenti e nel loro lavoro; 5) lavorare in gruppo; 6) partecipare alla gestione della scuola; 7) informare e coinvolgere i genitori; 8) servirsi delle nuove tecnologie; 9) affrontare i doveri e i dilemmi etici della professione; 10) gestire la propria formazione continua. Ciascuna di queste competenze sarà suddivisa in tre o quattro componenti principali”.