Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale, celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell’Olocausto. Si è stabilito di celebrarlo oggi pproprio in questo giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa, impegnate nella offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.
‘Oggi è il giorno – si legge nell’intervento di Francesco Montecuollo, Sindaco di Lariano – in cui ricordiamo che gli uomini sono capaci di creare fabbriche per qualunque cosa, persino fabbriche per costruire la morte di altri esseri umani.
Il 27 gennaio del 1945, infatti, il mondo scoprì che a pochi chilometri da una cittadina polacca che in tedesco si chiamava e si chiama tuttora Auschwitz, i nazisti avevano costruito un’enorme fabbrica della morte, il più grande tra i campi di concentramento e di sterminio sparsi per la Polonia e parte dell’Europa.
Solo ad Auschwitz – ha proseguito il primo Cittadino – morirono più di un milione di prigionieri. L’olocausto del popolo ebraico, per mano dei nazisti, arrivò a mietere le vite di circa sei milioni di donne, uomini e bambini.
Il giorno della memoria, come dice il suo stesso nome, serve a ricordare quanto accaduto ma la memoria da sola ha poco valore se non riusciamo a comprendere e fare nostro un concetto semplice ma fondamentale: è vero che il passato, per quanto tragico, non si può cancellare ma si possono e si devono scrivere, tutti insieme, pagine sempre migliori.
Lo dobbiamo a ogni bambino, a ogni donna e a ogni uomo fucilati e trucidati. Lo dobbiamo a ogni essere umano umiliato e arso nei forni crematori.
Per tutti loro dobbiamo scrivere pagine migliori. E possiamo farlo ogni giorno, nel nostro piccolo, coltivando l’amore, la compassione e lo spirito di comunità.
Come scrisse Shakespeare nel Mercante di Venezia: “Come arrivano lontano i raggi di una piccola candela, così splende una buona azione in un mondo malvagio”.
I prigionieri dei campi di concentramento hanno subito violenze quasi impossibili da raccontare a parole.
E i pochi di loro che hanno rivisto la luce non sono mai riusciti a dimenticare il grande buio che gli è rimasto dentro.
Uno dei più noti tra i sopravvissuti ad Auschwitz è stato, sicuramente, Primo Levi. Che raccontò in pagine crude e allo stesso tempo profondissime il suo periodo di internamento.
Un periodo relativamente breve della sua vita, dal febbraio del ’44 al gennaio del ‘45, ma che divenne drammaticamente quello più importante, che lo segnò fino all’ultimo giorno.
La sua poesia più nota, che abbiamo scelto di incidere per sempre su questa pietra d’inciampo nella nostra piazza Santa Eurosia, così come anche il suo libro “Se questo è un uomo”, narrano la storia di uomini prigionieri di altri uomini. Di esseri umani trasformati in bestie da soma e da macello da altre bestie, guidate da una mostruosa e folle ideologia.
E se il sonno della ragione ha generato queste mostruosità, sta a noi tenere accesa la luce della memoria perché come diceva proprio Primo Levi, “Chi dimentica il proprio passato è condannato a riviverlo”.
E spetta, dunque, a noi vigilare perché certe atrocità non accadano mai più e soprattutto spetta a noi scrivere quelle pagine migliori di cui parlavo prima.
Non servono grandi azioni ma amore e buone intenzioni.
Perché, come diceva Madre Teresa: “Ciò che conta non è fare molto, ma mettere molto amore in ciò che si fa”.